Sembrerà strano, ma di quel giorno non ricordo molto. E se da un lato dovrei essere contenta di questo, dall’altro vorrei davvero ricordare di più. Ma quando sei solo una piccola elfa a cui hanno appena bruciato quei boschi che chiamavi casa, fai in fretta a voler dimenticare. Eppure, quel giorno la mia vita è cambiata. E non per il rogo appiccato dai troll di Zul’jin.
Lilith si era persa. I suoi piccoli occhi verdi si muovevano freneticamente, ansiosi di ritrovare le figure corrispondenti ai suoi genitori. Correva, mentre il fumo le invadeva le narici e la faceva tossire costringendola a portarsi una delle piccole mani alla bocca.
Tutto quel fuoco la spaventava, la terrorizzava. I boschi di Quel’thalas erano sempre stati un luogo così bello, pacifico, colorato, dove giocare. Non capiva. Da dove arrivavano quelle brutte fiamme? Gli occhi le si arrossarono e la vista iniziò a farsi tremolante, disturbata dalle lacrime provocate dal fumo.
“Mamma! Papà!”
Continuava a chiamare e ad ogni richiamo la sua voce si incrinava sempre di più nel non ricevere la risposta che voleva sentire.
Lilith continuava a correre, sentendo il calore delle fiamme avvicinarsi a lei, farsi sempre più soffocante. Le sembrò passare solo qualche istante prima che sentisse qualcuno parlare.
“Hanno già bruciato tutto qui! Non troveremo niente! Ci conviene andarcene!”
Erano voci che non avevo mai sentito prima. Dure, aspre, così lontane da quelle melodiose che avevo sentito per tutta la mia seppur ancora breve vita. E soprattutto, non capivo un’acca di quello che dicevano. Come potevo? Conoscevo solo il thalassiano allora.
Per quella disattenzione, unita al fuoco e al fumo ormai insopportabili, non si accorse di un tronco caduto che la fece inciampare e ruzzolare rovinosamente a terra.
“Ahi!” si lamentò la piccola elfa messasi a sedere. E fu proprio quel lamento e quella rovinosa caduta ad attirare le voci sconosciute.
Lilith sentì i passi muoversi rapidi verso di lei e istintivamente si raggomitolò mentre altra paura si aggiungeva a quella già esistente. Pochi istanti dopo, le figure l’avevano raggiunta… e si erano bloccate di colpo alla sua vista.
Ai miei occhi erano dei mostri usciti da una delle favole che mi raccontava papà. Mostri enormi, dalla pelle verde, vestiti di pelli alla meno peggio, con zanne sporgenti dalla bocca, armati di asce, spade, lance e mazze rudimentali. Ero terrorizzata.
“Una mocciosa? Che ci fa una mocciosa fuori dalle mura? Gli elfi non sanno più chi mandare a combattere?” disse uno.
“Almeno un po’ di fortuna! Quei figli di cagna di troll si sono portati fino all’ultimo nichelino, questa la possiamo rivendere agli schiavisti e mettere su un bel gruzzoletto”, rispose un altro.
Questo era il più grosso del gruppo. Faceva davvero paura, aveva delle braccia che credevo potesse smuovere le montagne. Le sue trecce nere mi sono rimaste particolarmente impresse, perché ai miei occhi stonavano con quel guerriero che sembrava uscito dall’inferno.
“Si, così Doomhammer ci squarta!” protestò un altro orco ancora verso il secondo. “Dovresti saperlo che certe pratiche ora sono proibite, se ci beccano siamo morti!”
“E che ci importa a noi di Doomhammer! Non siamo più sotto il suo stendardo! Non dobbiamo rendere conto a nessuno!”
La piccola Lilith tremava di paura, e nascose il volto tra le braccia, mentre singhiozzava.
“Hai visto? L’hai spaventata! Ora dovremmo suonargliele per farla stare zitta! Tutta colpa tua!” abbaiò il terzo orco rivolto al primo.
Poi, da dietro quel trio mostruoso, si sentì un’altra voce.
“Che succede qui? Perché perdete tempo? Avete trovato qualcosa?”
“Ehi, Nyx! Guarda qua, una cucciola di elfo! Dicevo, visto che i bastardi di Zul’jin hanno bruciato tutto e non ci hanno lasciato niente, potremmo prenderla e rivenderla agli schiavisti! Pensa quanti bei soldoni ci faremmo! I piccoli elfi li comprano a tanto oro quanto pesano! Ma quell’animale di Otrok continua a blaterare di Doomhammer e impiccagioni!”
Discutevano animatamente e per quel che ne sapevo, l’argomento di discussione era il modo in cui uccidermi. La nuova arrivata era un’orchessa dagli abiti spartani, che imbracciava un arco robusto, con degli spuntoni di ferro alle sue estremità. La singola e sottile linea di capelli drizzati in alto al centro della testa le davano un aspetto ancora più intimidatorio. Ma la sua voce era diversa e non perché fosse una donna. Era anche quella dura ma… non era come gli altri. Lo intuivo. Anche se non sapevo ancora perché.
“Io direi che l’animale sei tu, Vughar, se pensi che ci mettiamo a trafficare bambini. L’onore è o no la base di ogni orco? E anche se non siamo più parte dell’Orda, siamo o no orchi di Draenor?” rispose piccata Nyx.
“Come se l’onore riempisse lo stomaco… Gettare così tutte quelle monete…” borbottò l’orco. Ma la donna scattò.
“NON VENDEREMO QUESTA BAMBINA!! È CHIARO!!? O VUOI CHE TI PIANTI UNA FRECCIA NEL PETTO???!” gli urlò Nyx.
“Che ci facciamo allora?” Intervenne Otrak piano, per riportare la calma. “I genitori sanno morti, e certamente non possiamo riportarla in prossimità delle mura. I suoi simili ci attaccherebbero a vista…. tanto vale avere pietà e…”
I singhiozzi di Lilith ora si erano fatti più frequenti. E più forti.
“Andate via” ordinò imperiosa Nyx ai suoi uomini. “Tornate all’accampamento, io vi raggiungo tra un secondo.”
I tre orchi scrollarono le larghe spalle e obbedirono. Nyx, rimasta sola, si avvicinò piano alla piccola elfa spaventata e si abbassò sulle ginocchia.
“Ehi…” allungò piano il braccio, tentando di scostare delicatamente le mani dal volto di Lilith. La sua voce si era qualche modo addolcita. Per quanto possa essere dolce la voce di un’orchessa. “Come ti chiami?”
Ma Lilith non si fece toccare e indietreggiò immediatamente, rivelando guance rigate dalle lacrime.
“Stai tranquilla, non ti farò del male…”
Non capivo. Non potevo capire. Volevo solo i miei genitori, mi sembrava di stare in un incubo e non questi mostri che erano comparsi davanti a me. Così nascosi di nuovo il volto, atterrita, pronta a subire il male che ero certa quella donna mi avrebbe inflitto. Ma poi mi sentì presa in braccio e portata via. Quel giorno persi i miei genitori per sempre, ma solo anni dopo capii quanto fui fortunata ad incrociare la strada di quell’orchessa.
Illustrazione in evidenza di Acidify Art