Negli ultimi anni, specie nel recentissimo passato, ci siamo spesso lamentati di come la lore di Warcraft o per essere più specifici, la sua narrativa sia stata trattata in modo superficiale. Tutto questo ha toccato il punto più basso in Shadowlands, consegnandoci, salvo pochissime zone di luce, un’espansione da quel punto di vista vuota, senz’anima, con il personaggio del Carceriere che si è erto a miglior (o peggior, in questo caso) rappresentazione di quello che abbiamo appena detto.
In Dragonflight è stata invece subito evidente un’inversione di marcia. Sin dall’inizio dell’ultima espansione abbiamo visto (e vi abbiamo raccontato), come il team narrativo e di quest design di WoW abbia deciso di porre molta più attenzione sulla costruzione di eventi e personaggi man mano che la storia progrediva. E credo proprio questa sia questa che abbiamo appena detto, costruire, la parola chiave di questa prima parte di Dragonflight. Perché nella lore che abbiamo scoperto fino ad oggi, non siamo mai arrivati da un punto A ad un punto B “perché sì” come ci è capitato di vedere in passato (vero Zovaal? Vero frammento d’anima di Sylvanas?) ma agli eventi e ai personaggi che abbiamo incontrato è sempre stato dato un contesto, un contorno, si è costruito su quello che facevano o che succedeva. Ci è stato spiegato perché lo facevano, cosa li ha spinti a farlo, come lo hanno fatto, quali conseguenze hanno portato quelle azioni.
In questo senso non si può non apprezzare il lavoro d’immersione anche nelle piccole quest fatto dal team, il quale ci ha permesso di ritrovare quella magia nel mondo e nella storia di Azeroth che era stata quasi totalmente smarrita in Shadowlands.
Ed anche se molti di voi lo avranno già capito, ora vi dirò anche dove abbiamo avuto il punto più alto di questo lavoro svolto. Si, nella questline dei Draghi Blu.
Quella questline è la dimostrazione come in realtà basti davvero poco per fare le cose bene. Volete un esempio? Il personaggio di Senegos. Quanto sapevamo su di lui? Si, ha fatto una breve apparizione durante Legion*, ma quanto sapevamo del personaggio? Pochissimo, quasi niente. Era un npc che ci ha aiutato, ok. Ma finiva lì. Eppure, sono bastate un paio di quest scritte bene e… quanti di voi sono riusciti ad entrare in empatia con Senegos? Quanti si sono dispiaciuti del suo addio? E quanti invece sono riusciti, non dico ad empatizzare, ma a capire Zovaal, anche solo cosa volesse, in un’intera espansione? Sono quasi certo che abbiamo risposto tutti allo stesso modo.
In poche linee di dialogo abbiamo capito Senegos, il suo ruolo, come si sentisse a svolgerlo. Così come abbiamo visto come si sentissero Malygos e Sindragosa nei ricordi a loro delicati. Storie che già conoscevamo, ma da altri punti di vista e che adesso sono state egregiamente arricchite da questa questline. Perché spesso l’importante non è quel che si racconta ma come lo si racconta.
E permettetemi di fare un parallelismo (che è anche un rant), aprendo brevemente una piccola parentesi. La prima cosa che ho pensato leggendo e vedendo questa questline è stata: “questo è ciò che sarebbe dovuto essere l’addio ad Arthas.“
Perché è inutile nascondersi, Arthas è stato vittima di quel male chiamato hype culture (che sta rovinando l’industria), e del paraculismo di Blizzard. Pensiamoci un secondo. Arthas è stato inserito da Blizzard in uno dei corti – bellissimi tra l’altro – di Aldilà e la sua presenza in Shadowlands è stata poi confermata dalla stessa Blizzard. Ma come sappiamo bene e come vi abbiamo riportato, da allora nelle varie interviste agli altrettanto vari devs, di Arthas si è scelto di non parlare mai, ammiccando sempre però ad una sua presenza. Al tempo poteva essere (come ho io stesso scritto), un bene, poiché si pensava non si volesse sbagliare con un personaggio così grande per il franchise di Warcraft. Oggi invece sappiamo che non si parlava di lui perché semplicemente Arthas… non c’era.
Blizzard ha scelto di utilizzare uno dei suoi diciamo tre personaggi maggiori (insieme a Illidan e Sylvanas) puramente a scopo di marketing, utilizzando quel personaggio per invogliare la gente a giocare Shadowlands. Ed è per questa scelta -perché è questo che è, che possa piacere o meno- che abbiamo avuto quella fine per Arthas, nella forma completamente agli antipodi rispetto alla questline dei Draghi Blu. Sui motivi per cui è stata fatta questa scelta è inutile tornare (ne abbiamo già parlato qui), ma provoca sicuramente amarezza vedere la differenza sul come sia stato trattato l’addio di Malygos e Sindragosa e l’interezza di tutta la questline rispetto a quello che abbiamo visto in Shadowlands.
Alla luce di tutto questo mi sento di dire un’ultima cosa. La questline dei draghi blu è la narrazione che tutti gli appassionati della splendida – e troppe volte picconata – storia di questo gioco dovrebbero e vorrebbero sempre vedere. Una narrazione che ci ricordi perché sono quasi vent’anni che giochiamo o anche solo che seguiamo il mondo di Azeroth. Una narrazione che ci faccia ritrovare la magia che ultimamente, davvero, sembra(va?) essere perduta.