Giusto un paio di settimane fa abbiamo parlato della patch 11.1 di World of Warcraft, che aveva fatto storcere il naso a qualche giocatore sia per il tema centrale della patch stessa, ossia i Goblin, sia per il suo villain Gallywix, visto come un antagonista debole e poco d’impatto. Ecco, quella discussione mi ha stimolato a volerne fare un’altra, allargando un po’ il tema. Come si riconosce un buon villain? Quanti ce ne sono di diversi a quali possiamo prendere come esempi per diversificarli tra loro? Ci ho riflettuto in questi giorni ed ho individuato tre villain molto diversi tra loro che ben possono dare l’idea quanti un antagonista può essere diverso da un altro, nel bene e nel male. Parliamone insieme dunque, ma vi avviso che per farlo dovrò per forza di cose fare SPOILER di Elden Ring (e del suo dlc Shadow of the Erdtree) e del progetto remake di Final Fantasy VII.
Pronti? Iniziamo con il nostro primo villain da prendere in esame.
Zovaal il Carceriere (World of Warcraft)

Di Zovaal abbiamo ampiamente parlato nel corso di questi ultimi anni. Per quel che mi riguarda, come ho più volte ribadito, è il peggior villian dell’intera lore di Warcraft ed inevitabilmente rappresenta il lato oscuro dell’argomento di oggi. Zovaal è come un villain NON andrebbe scritto. Quello che vediamo è un personaggio che non riesce praticamente mai a centrare il ruolo per cui è stato creato, ovvero quello dell’antagonista. Non ha carisma, possiede una piccola presenza scenica più che altro derivata dal ricordo di un altro personaggio del passato (il Re dei Lich) e soprattutto, cosa ben più grave, non ha carattere. Perché è esattamente la mancanza di caratterizzazione che distrugge un villian con l’aggravante, come nel caso del Carceriere delle Shadowlands, di non avere nemmeno la benché minima costruzione alle sue spalle. Il pubblico riesce ad apprezzare un antagonista di una storia quando le sue motivazioni sono ben chiare, lo sviluppo del personaggio è ben tracciabile nel corso degli eventi, quando si riconosce cosa vuole e perché lo vuole. Cosa, di tutto questo, abbiamo avuto nel caso di Zovaal? Niente. E rivolgendomi ai giocatori di WoW, anche adesso, che il suo arco narrativo si è chiuso ormai da un pezzo, voi avete capito quali fossero le sue motivazioni? Perché il Carceriere voleva “riscrivere la realtà“? Blizzard ha detto più volte che Zovaal fosse il grande mastermind dietro gli eventi della lore di Warcraft sin dal terzo capitolo dell’RTS (quindi di Warcraft III), ma un’affermazione del genere è totalmente priva di ogni credibilità, proprio perché ne mancano le più basilari fondamenta. Se vuoi che un’affermazione del genere sia valida e venga riconosciuta dalla tua community, devi aver prima fatto tutto un percorso di costruzione del tuo villain che non necessariamente chiaro ed evidente, ma quantomeno rintracciabile nel corso degli anni (in questo caso) precedenti. Ma chi può dire una cosa simile parlando di Zovaal? Quali indizi abbiamo della sua grande opera di manipolazione degli eventi in 20 e passa anni di lore? Nessuna. O quantomeno nessuna ben costruita senza rincorrere a forzature. Ma scrivere un personaggio in questo modo fa correre anche un altro rischio, in una storia grande come quella di Warcraft, ovvero quello di “contaminare” gli altri tuoi villain. Perché credo sia innegabile che il personaggio di Sylvanas sia stato, appunto, contaminato da Zovaal e la sua storyline ne sia stata in qualche modo influenzata. Certo, si potrebbe obiettare che sono comunque due personaggi diversi, ed è vero, ma se due antagonisti sono così fortemente legati tra di loro nella lore, e con una forte pendenza d’importanza a livello di macro-eventi verso uno di essi, è ovvio che l’altro ne risenta in una qualche misura e tutti quei garbugli con l’anima di Sylvanas sono stati scritti soprattutto in funzione della storyline del grande villain, non perché facenti strettamente parte della storia di Sylvanas. Persino all’interno del gioco stesso, l’impatto di Zovaal è minimo. Si vede pochissimo, parla ancora meno, non da nessun elemento che aiuti a comprenderne le motivazioni, non da al giocatore un appiglio, un mattoncino su cui costruire il suo ricordo, la sua presenza all’interno della storia. Provate per un attimo ad eliminare il Carceriere dalle scene in cui appare. Cosa cambierebbe all’interno della trama? Niente, non ne sarebbe minimamente influenzata.
In ultima analisi, Zovaal rappresenta tutto ciò che un villain non deve essere. È semplicemente sbagliato in ogni suo aspetto, un personaggio tirato fuori dal cilindro più per la volontà di chiudere una certa storia ed un certo modo di farla, più che il risultato di una lunga ed attenta costruzione di quello che doveva essere un villain maestoso ed opprimente.
Il secondo villain che prenderemo ora in esame, rappresenta in un certo senso l’altra faccia della medaglia di Zovaal, sebbene i due non siano minimamente paragonabili direttamente.
Sephiroth (Final Fantasy VII Remake/Rebirth)

Mettiamolo subito in chiaro, il Sephiroth dell’originale Final Fantasy VII del 1997 è un personaggio diverso da quello del progetto remake partito nel 2020. Lì avevamo un personaggio nettamente più misterioso, che agiva molto più nell’ombra degli eventi. Quello di Remake e Rebirth* invece è un villain che, come anticipavamo poco fa, soffre del problema opposto a quello di Zovaal: la sovraesposizione. Sia chiaro, ancora oggi Sephiroth possiede una grande presenza scenica e (il più delle volte) un grande carisma. Ma la costruzione? È innegabile che quello del progetto remake di Square sia un Sephiroth che è il risultato della compilation di Final Fantasy VII, la miriade di spin-off usciti dal 1997 ad oggi che hanno arricchito ed ampliato l’universo narrativo del titolo madre. Ed è altrettanto innegabile che Sephiroth sia il personaggio uscito peggio da questa compilation e che proprio quella abbia portato inevitabilmente alla sua sovraesposizione. Personalmente non credo che il tentativo di Square di umanizzarlo (soprattutto in Crisis Core) sia stata una buona idea. Nell’originale era un villain che funzionava perché anche se lo si vedeva pochissimo, era (al contrario di Zovaal), una presenza opprimente, di cui vedevi i segni in modo tangibile e che ben costruivano il personaggio nel suo ruolo. In quel caso Sephiroth era come una sorta di fantasma o di malattia (infatti l’idea di Advent Children era molto figa di per sé), un qualcosa che non vedi ma di cui avverti la presenza. Nel progetto remake invece si è deciso di voler dare molto più spazio a Sephiroth… forse anche troppo. E se in alcuni casi, come nel dualismo con Cloud che porta quest’ultimo all’uscita di senno, la cosa è apprezzabile, meno risulta esserlo quando usi il tuo villain per fare gli spiegoni di una storia (inutilmente?) ingarbugliata. Capisco che, parlando pur sempre di un progetto ancora non terminato, tutto può essere messo in discussione con “eh ma vedrai nella parte 3“, ma onestamente non credo che questo punto specifico subirà grossi scossoni o cambiamenti (anzi..!) e non riesco a digerire che tu abbia bisogno si snaturare una certa caratteristica del tuo villain così ben riuscita, per fargli spiegare i tuoi cambiamenti alla trama o di fargli fare, di fatto, il deus ex machina degli eventi (come nel finale di Rebirth) senza che apporti davvero un qualcosa alla storia. Si, certo, come abbia detto all’inizio questo è un Sephiroth diverso, palesemente consapevole degli eventi della storia quasi fosse un osservatore esterno che già sa, ma resta comunque il suo villain principale. Perché dargli tutta questa esposizione, perché snaturarlo in questo modo? Averlo (quasi) sempre davanti toglie quella presenza fantasma ma opprimente che era la caratteristica principe del villain e se oltre a motivi appartenenti prettamente alla storia del personaggio lo si deve fare comparire anche per spiegare la storia stessa del gioco… diventa opprimente si, ma nel senso negativo. Si, magari poi sentiamo One Winged Angel e ci dimentichiamo tutto, però…
Sephiroth resta un personaggio ed un villain iconico e niente gli potrà mai cambiare questo status. Ma il togliergli una di quelle caratteristiche che lo rese ai tempi così iconico non ho trovato sia stata una scelta saggia. Il giudizio resta sospeso, mancando l’ultima parte dell’opera, ma spero davvero che tutto ritorni sui binari (anche se, onestamente, non ci credo…)
Il miglior villain di cui possiamo parlare resta così l’ultimo di questi tre esempi…
Regina Marika l’Eterna (Elden Ring)

Bel paradosso, eh? Abbiamo parlato di un villain che si vede poco e di uno che si vede troppo, e finisce che il migliore è quello che non si vede mai. Perché no, il giocatore non riesce mai a vedere Marika nel corso di tutta la mastodontica avventura di Elden Ring, l’opera di From Software vincitrice del Game of the Year nel 2022. Eppure, Hidetaka Miyazaki ed il suo team sono riusciti a costruire un villain pressoché perfetto. Come ben saprete, la narrazione nei titoli From è sempre atipica, mai diretta e lascia sempre che sia il giocatore a ricostruirla tramite descrizioni di armi, oggetti o la stessa narrazione ambientale. Faccio davvero fatica a riuscire a spiegare quanto io abbia apprezzato Marika nel risultato di questo gigantesco mosaico, ma ci proverò ugualmente. Il giocatore conosce Marika come la Regina e Dea dell’Interregno, il luogo in cui si svolgono gli eventi del gioco, nonché di causa stessa per cui il mondo si trova nella situazione che lui vede, ovvero il classico mondo in rovina di From. Tuttavia, scoprendo man mano i pezzi di questo mosaico, il giocatore non può che restare affascinato dalla figura di Marika, che per tutto il gioco base si percepisce come una figura distante, proprio come il suo ruolo divino impone debba essere. La Regina è colei la cui presenza si avverte sempre, ma attenzione, non parliamo di una presenza del momento, ma di una passata. Il giocatore avverte costantemente quanto Marika sia stata presente nel passato dell’Interregno, quanto sia stata venerata, amata o odiata, e quanto tutto questo riecheggi ancora nel presente (a distanza di presumibilmente secoli) nel mondo di gioco. Ma allo stesso tempo, Elden Ring non manca mai di far notare come le azioni di Marika abbiano portato a quel declino inesorabile a quel degrado, a quegli orrori, il tutto in antitesi con l’era dell’Ordine Aureo dell’Albero Madre e quale figura migliore dell’oro per far immaginare un qualcosa di luminoso, splendente, perfetto. Due facce opposte, causate dallo stesso personaggio. Quello di Marika è un carisma muto, raccontato da altri, da personaggi che hanno subito le sue azioni e che hanno portato a quel risultato che il giocatore osserva in prima persona. Così come la sua presenza scenica non è data da una sfolgorante bossfight, ma dalle gigantesche statue che ne conservano la memoria ed il culto che verso ella vi era una volta o dalla Grazia che per tutto il gioco suggerisce ed “esplicita” al Senzaluce (il personaggio da noi controllato) le sue intenzioni. Marika “parla” attraverso la Grazia, ti dice cosa devi fare mentre per strada capisci il perché. Ed è incredibile perché ti rendi conto che questi due fattori costituiscono insieme anche il terzo: la costruzione. La Regina Marika è costruita dal suo carisma e dalla sua presenza nell’Interregno, ma ciò viene addirittura ampliato nel DLC Shadow of the Erdtree dove il quadro si completa nella sua perfezione, nel costruire il personaggio al di fuori del carisma o della presenza scenica, affermandolo anche come villain più di quanto non lo fosse già. Perchè è in SotE che scopriamo le origini di Marika. Chi era prima di diventare una dea, come è riuscita a diventarci? Il DLC risponde a tutte queste domande, dipingendo non solo il personaggio di Elden Ring più vicino a Grifis (o Griffith), l’antagonista creato dal compianto Kentaro Miura in Berserk, ma lo fa dandole i tratti del villain che non ti aspetti dal personaggio. Marika viene raccontata come una fanciulla di un villaggio sciamanico matriarcale, quest’ultimo vittima di terribili rituali da parte di un popolo chiamato Araldi del Corno. Non è più (o non è ancora) l’essere distante del gioco base. Non c’è (o non c’è ancora) il divino, ma l’umano, la fragilità. Ma lei non è come le altre. Marika è una prescelta, è destinata a diventare dea. Ma come fare con gli Araldi? La cosa più ovvia, farseli in qualche modo alleati… fino a quando servono. Perché per diventare una dea al Varco Divino, a Marika serve tanta, ma tanta energia… e la fanciulla non si fa il minimo problema ad usare i corpi, il sangue dei suoi alleati per avere quel potere. Lo stesso potere che poco dopo nasconde, perché nessuno glielo porti mai via, nemmeno i suoi stessi figli, che lei stessa, tramite la Grazia, ti spinge ad uccidere. L’oro, lo splendore, la perfezione, il paradiso nato da un inferno rosso di sangue e sacrifici. Cosa può esserci di più villain di questo? Come si può non apprezzare un personaggio, un villain, così silente, così invisibile eppure così chiaro e presente?
Termina qui il nostro viaggio. Abbiamo visto tre diversi tipi di antagonisti in tre diverse storie. Esistono modo diversi di raccontare un villain, che resta comunque una cosa per niente facile. Possiamo dire che nel 2025 essere il villain di una storia non è un mestiere semplice per diversi motivi, ma credo davvero che esaltare i buoni esempi sia sempre giusto da fare, così come criticare quelli che non hanno funzionato molto bene. Il rischio di appiattimento, altrimenti, è proprio dietro l’angolo…