Non so quanti di voi ricordino in che momento hanno deciso quale fosse il vostro genere videoludico preferito. Più probabilmente, vi sarà capitato quello che è capitato a me, ovvero realizzarlo solo più avanti. Perché per quel che mi riguarda, a 12 anni, quando giocai per la prima volta a Final Fantasy VIII, non avevo la minima idea di cosa fosse un JRPG. Lo scoprii anni ed anni dopo, a quei tempi non importava affatto. Sapevo solo che quel videogioco mi piaceva, quel mondo, quel modo fare i combattimenti, quel modo di raccontare la storia. Che mi fregava di dargli un’etichetta? Bastava che mi piacesse, no? E negli successivi ho perseguito quella strada. Comprai ovviamente tutti i Final Fantasy successivi, il nove, il dieci, il dodici (l’undici fu solo online, mi disperai quando lo scoprii, ed il sette lo giocai solo una volta, con quella barriera enorme che ai tempi era rappresentata dall’inglese. 3/4 di cose non le capivo) il tredici… E nel frattempo provai anche qualcosa di diverso da FF ma sempre su quel genere, come quella piccola perla di The Legend of Dragoon. Ricordo quel periodo ancora oggi come il migliore della mia vita, videoludicamente parlando. Era tutto magico, tutto bellissimo, con quelle colonne sonore che resteranno sempre immortali, la fantasia viaggiava libera e veloce anche solo ad immaginare come quei personaggi parlassero quando ancora non c’era il doppiaggio.
Crescendo poi mi sono anche spostato su altri generi, che mi sono piaciuti e mi piacciono tutt’ora, ma più passava il tempo e più prendevo consapevolezza che quella sensazione che mi diedero i vecchi Final Fantasy o The Legend of Dragoon o Dragon Quest VIII non l’avrei mai più provata. Erano videogiochi di un tempo che non c’era più, passati. Adesso ci sono molti più fattori in ballo. Il medium è diventato più di massa, si presta MOLTO al marketing, all’hype… C’era davvero poco, poco spazio per quei videogiochi fatti con amore verso di essi. Con passione, senza strare troppo a guardare le ricerche di mercato per vedere cosa tira di più, cosa vende di più, tanto che persino quel franchise che era stato il mio primo amore videoludico aveva preso quella strada. Erano cambiati sia i videogiocatori che il modo stesso di fare i videogiochi, c’era poco da fare.
Poi però è arrivato un fulmine a ciel sereno, un qualcosa di totalmente inaspettato. Clair Obscur: Expedition 33.
Ho vaghi ricordi di quando vidi il trailer di annuncio di questo videogioco di questa sconosciuta software house francese, Sandfall Interactive, però ricordo molto bene che catturò subito la mia attenzione, perché aveva quel combat sysyem lì, quello dei vecchi Final Fantasy. Il tanto bistrattato (oggi) sistema a turni, vittima sacrificale sull’altare degli action. E quindi su, un interesse c’era già, ma io MAI, MAI, MAI mi sarei potuto aspettare cosa avrei visto ed esperito una volta giocato il titolo pad alla mano. All’inizio pensai che era come essere tornati indietro nel tempo, ma invece no. Era più corretto dire che quei vecchi videogiochi di fine anni ’90 inizio anni 2000 avevano viaggiato nel futuro ed erano arrivati nel 2025.
Perché questo è Clair Obscur: Expedition 33, uno di quei vecchi videogiochi fatti con amore, con passione, con grande competenza. Proprio come i vecchi Final Fantasy, proprio come The Legend of Dragoon e Dragon Quest VIII, ma tutto amplificato a dismisura dalle moderne tecnologie. Perché in CBE33, funziona tutto. TUTTO. Pur non essendo un gioco perfetto (anche perché quelli non esistono), ma che al contempo riesce persino dove anche quei vecchi JRPG fallivano SEMPRE.
Di cosa parlo? Della coerenza della storia dall’inizio alla fine. Chiunque abbia giocato un Final Fantasy o un altro di quei giochi che ho citato su, sa benissimo che un “grande classico” di quei titoli era la storia che partiva per la tangente a circa 3/4 dell’avventura (FF8 poi peccava particolarmente in questo senso). Ma tutto comunque scoppiava, iniziavano improbabili confronti tra ragazzini di scuola e divinità extra dimensionali o giù di lì. Questo era il grande difetto narrativo dei vecchi JRPG, diventare a tutti gli effetti dei manga shonen.
CBE33 invece ha il grande (e difficile, badate bene) merito di restare sempre fedele ed aderente a se stesso. C’è anche più di un’impennata, ma è tutto molto contestualizzato e non viene mai meno la credibilità della storia, MAI, in nessuna delle 58 ore che ho impiegato per completarlo. È tutto coerente con quel mondo lì.
E che dire invece dei personaggi di questa storia? Belli, stratificati, che comunicano tra loro e al giocatore con dei dialoghi brillanti, mai prolissi ma piuttosto asciutti e che comunicano anche quando non parlano. Perché una grande importanza in questa storia ed in questi personaggi la hanno i loro occhi. Tutti i personaggi di E33 comunicano tantissimo con i loro occhi e con le espressioni dei loro volti, frutto di un lavoro a livello di animazioni facciali superbo (animazioni che calano in certi frangenti come ad esempio durante i confronti all’accampamento, ma quello è un chiaro limite di budget non certo di un lavoro fatto male). E tutto questo accompagnato da un doppiaggio eccezionale (almeno quello inglese, scelto da me per la mia run) ma questo ammetto che fosse già immaginabile. D’altronde gente come Jennifer English, Ben Starr ed Andy Serkis non ha certamente bisogno di presentazioni, senza dimenticare anche gli altri doppiatori che hanno fatto tutti un lavoro magistrale, riuscendo a trasmettere perfettamente lo stato d’animo dei personaggi nelle varie situazioni. E poi i colpi di scena. Mai banali e soprattutto mai fini a sé stessi, mai messi lì solo per “fare teatro” ma ben inseriti nella storia che hanno conseguenze visibili sia per essa che per i suoi personaggi.
E il gameplay? Questi bistrattati turni funzionano quindi? Si! Funzionano! E sapete perché? Perché sono fatti BENE! L’idea di inserire parate (che poi sono parry) e schivate è stata una semplice genialata. Perché va a svecchiare quel combat system eliminando di fatto quella che era la sua più grande debolezza: i tempi morti tra un turno e l’altro. Tu giocatore non devi semplicemente premere X (o A) per attaccare, attaccare ed attaccare e basta, in quel loop che così presto poi viene a noia. I ragazzi di Sandfall Interactive hanno invece ben pensato di tenere il giocatore attivo anche durante il turno nemico, “costringendolo” di fatto a stare sempre concentrato in ogni battaglia, perché hai la possibilità di interagire anche con gli attacchi avversari e se sei bravo (nel caso dei parry) hai pure il premio del contrattacco che cavolo quanto è soddisfacente e quanto male fa! Questo, questo è rendere un combat system datato moderno e divertente. Ed è finita qui? No, perché con il sistema dei picto e dei lumina (che è praticamente il sistema delle abilità di FF9) puoi fare persino le build! Le build in un JRPG! E non una o due, ma tante! Perché con così tante abilità hai diversi modi di costruirti i personaggi ed altrettanti di approcciare il combattimento.
“Eh ma poi comunque il gioco si rompe”, certo che si rompe! Tutti i JRPG si rompono, ma comunque CBE33 riesce a tenere botta per tanto tempo, diciamo abbondanti 3/4 di gioco! E non vi devo ricordare certamente come tanti altri JRPG si rompossero molto prima (ragà, FF8 lo potevi rompere al disco 1 a 10 ore A STARE LARGHI…!)
Questo deve essere un modello da perseguire. Bello, profondo, appagante, non inseguire quello che “tira di più” facendo finta che sia altro. E no, non sto parlando del progetto remake di Final Fantasy VII, perché quel sistema è semplicemente una bomba tale e quale a questa solo che ha presa una strada diversa. Mi riferisco molto di più a FF16 che a livello di gameplay è un gioco che FA FINTA di essere un JRPG quando è palesemente un action fatto e finito. Perché, Square? Perché non hai avuto il coraggio di svecchiare le tue vecchie glorie senza inseguire il mercato? Non dico di farlo, ma almeno di provarci…
E la musica, la musica… Ora, non dirò che siamo ai livelli di Uematsu prime, quelli credo saranno sempre irraggiungibili, ma ragazzi… Ho un solo aggettivo per la colonna sonora di Clair Obscur Expedition 33: indimenticabile. Ogni traccia è semplicemente perfetta, calzante col momento, che sia esaltante di una battaglia o più profondo di un momento di storia. Motivi che ti restano in testa da subito e non andranno via per un bel po’, che ti viene da ascoltarli anche quando non stai giocando (io in prima persona ne sono un esempio, ma sono sicuro che sia così per TANTI).
Clair Obscur Expedition 33 è tutto questo. Un miracolo, un titolo coraggioso, idee messe in un codice di gioco senza quei fastidiosissimi paletti del “questo no, non vende”. È poesia, è arte in movimento, è una lettera d’amore ai videogiocatori a cui consiglio davvero vivamente di dargli almeno una possibilità, anche se non siete avvezzi al genere. Ci sono serie possibilità che vi faccia cambiare idea. Si, magari è un Frankenstein di Final Fantasy, Persona, qualche spruzzata di Sekiro e di qualche altro titolo, ma è fatto BENE, è fatto con amore e passione per il videogioco, con una storia che vi terrà incollati, un cast eccezionale, un combat system estremamente appagante (unico neo, forse, è lo scaling dei boss di trama che poteva essere fatto meglio), una direzione artistica spettacolare (non vedrete mai un posto uguale all’altro) ed una colonna sonora che vi entrerà in testa. E tutto questo senza un budget da AAA. Non so se questo titolo vincerà il Game of the Year, ma forse importa anche poco.
Non è perfetto? Verissimo, ma i bei giochi si possono ancora fare. Clair Obscur Expedition 33 ci ha detto questo e ce l’ha detto forte e chiaro. Anche e soprattutto all’industria. La perfezione è noiosa e piatta, non ci interessa.