Quanto è importante la grafica in un videogioco moderno? O meglio, quanto essa è importante nella percezione che il grande pubblico ha di un titolo? Generalmente mi verrebbe da rispondere che più una grafica è pompata, più si avvicina al fotorealismo, più quel titolo sarà, almeno di primissimo impatto, accolto bene dal pubblico. Certo, le componenti su cui si giudica poi sono anche tante altre, ma non si può comunque negare che la parte grafica non faccia la sua parte, soprattutto all’inizio, diventando quindi per molti il la prima “barriera” che un videogioco deve oltrepassare per guadagnarsi il gradimento dei videogiocatori.
Per quel che mi riguarda, però, non è così. Non fraintendetemi, anche a me piace il The Last of Us o il God of War del caso, ci mancherebbe, tuttavia credo che ci sia un fattore che sia molto più importante della grafica in sé per sé (e che comunque è presente anche nei titoli sopracitati). La direzione artistica.
Quest’ultima ha, in mia opinione, un potere incredibile: oltrepassare i limiti del tempo, e per spiegarvi meglio cosa voglio dire, vi voglio parlare dei due titoli che meglio compiono questo “miracolo: la serie di Ori, costituita da Ori and the Blind Forest e dal suo sequel, Ori and the Will of the Wisps (uscito poi nel 2020), entrambi sviluppati da Moon Studios.
Proprio in questi giorni cade il decimo anniversario di Ori and the Blind Forest e riguardando qualche clip o qualche gameplay qua e là, mi sono ancora di più accorto di quanto questi due giochi siano, a conti fatti, immortali. Precisiamo subito che personalmente non ho mai visto un lato artistico di un gioco al livello di questi due titoli (in particolare del secondo), ma ciò che lascia sempre a bocca aperta è l’incredibile capacità di Ori di sembrare un titolo tripla A pur non essendolo, pur non avendo il “graficone“. E questo accade proprio per la sua sconvolgente direzione artistica, che riesce a raccontare due titoli in 2D, esattamente come farebbe un The Last of Us o un God of War, ovviamente non tramite dialoghi o espressioni facciali, ma certamente con la musica e il comparto sonoro (che non sono la stessa cosa), forse l’unico aspetto equiparabile ai “grandi titoli”. Ma Ori, come abbiamo appena detto, non ha attori che possono veicolare la sua storia e soprattutto il suo mondo. Come fare allora?

Semplice. Il mondo di Ori si racconta da solo, grazie all’arte che Moon Studios è riuscito ad infondere ad esso, riuscendo a renderlo per tutta la durata dei due titoli, non solo una festa per gli occhi, ma l’unico vero attore presente nella saga. Qualsiasi luogo, sia in Ori and the Blind Forest che in Ori and the Will of the Wisps, ha qualcosa da raccontare e questo grazie ad una costruzione dell’ambiente dove nulla è lasciato al caso. Una luce della luna che filtra da dietro un albero o dalle sue foglie in mezzo al buio ci racconta che ci troviamo in un luogo corrotto, spento, dove la luce stessa di cui è composto Ori risulta essere la speranza di quel luogo, che tuttavia rimane avverso proprio perché immerso in quella corruzione. Allo stesso modo poi però ci ritroviamo in un altro luogo, stavolta in cui l’elemento dominante è l’acqua. E allora ecco i colori accesi, sgargianti, la luce di Ori che anche in questo scenario si cala perfettamente, sembrando parte integrante di quell’ambiente. Se nello scenario buio il nostro piccolo amico era la speranza, qui è la stessa vita di cui è composto questo scenario. E tutto senza dialoghi, senza espressioni facciali, senza cutscene dal taglio cinematografico. Tutto grazie alla direzione artistica dei due titoli, da quelli che vediamo, da quello che sentiamo. Perché è bene dirlo, la maestosa, splendida colonna sonora di Ori racconta tanto quanto la parte visiva. Perfetta in ogni momento di tensione, di rilassamento, di tristezza, di generale coinvolgimento emotivo, sempre.

E tutto questo capolavoro (non esito minimamente ad usare questo termine) artistico lo si riesce ad avvertire persino a livello di gameplay! Perché come, a livello di level design, tutto scorra in maniera così armoniosa e fluida in quegli ambienti così tanto diversi tra loro, è davvero difficile da spiegarlo a parole, tanto che vi consiglierei di esperirlo voi stessi per ben capire cosa voglio dire.
E in ultima analisi, quindi? Cosa succede? Succede che, paradossalmente quasi, la saga di Ori riesce in qualcosa che non tutti i titoli con il “graficone” riescono a fare e che comunque molti soffrono tremendamente: invecchiare.
Perché possono passare anche altri dieci, venti o trent’anni ma Ori and the Blind Forest e Ori and the Will of the Wisps saranno sempre un’opera d’arte in movimento.