La mia conoscenza con Severance* è stato piuttosto casuale. Ne avevo sentito parlare non troppe volte volte in realtà, ma sempre con toni entusiastici che ne lodavano sempre la grande qualità. Ma d’altronde, essendo un prodotto di Apple TV, non c’è da stupirsi se parliamo di una serie relativamente di nicchia e quindi non nota al grande pubblico. Ai tempi – parliamo circa di tre settimane fa – Severance contava una prima stagione già completa, e di una seconda praticamente appena iniziata con due dei dieci episodi già trasmessi. È stato in quel periodo che mi sono affacciato a questa serie, senza neanche chissà quali aspettative ad essere sincero, contando anche che il genere – lo sci-fi – non è poi così tanto nelle mie corde.
Ebbene, mi sono bastati tre episodi per, con mio stupore, essere completamente rapito da questo serie, stupore che è aumentato ancora di più quando ho visto Ben Stiller (si, quel Ben Stiller) esserne il regista. Ma andiamo per gradi.
La prima cosa da dire è che Severance o Scissione com’è stata chiamata nella sua localizzazione italiana, non è una serie per tutti. È un prodotto che richiede molta attenzione, pienissimo di particolari importantissimi ai fini della trama, che ad una prima visione è quasi normale che sfuggano e di cui ci si rende conto solo dopo… o molto dopo. Ma di cosa tratta Severance?
Penso che tutti noi vorremmo una vita tranquilla, senza tante preoccupazioni o dolorosi ricordi ad assillarci. Bene, immaginate che un giorno bussi alla vostra porta qualcuno e che questo qualcuno vi dica che ciò che desiderate è possibile. Tutto quello che dovete fare è farvi impiantare un piccolo chip che separerà i vostri ricordi personali da quelli lavorativi. Ogni volta che varcherete la porta della lavoro non avrete nessun ricordo della vostra vita fuori e viceversa. All’inizio, si, magari potrebbe sembrare una cosa positiva, d’altronde era quello che volevate, no? Ma è davvero così? Riuscireste davvero a vivere in questo modo?
La serie si pone questo problema ed io personalmente non trovo una definizione più adatta a Severance che non sia presa di coscienza, un concetto che torna più e più volte sia nella serie, che, come vedremo, in questo articolo. Perché è questo che il prodotto di Apple TV è in ultima analisi, una costante e graduale presa di coscienza in primo luogo dei suoi protagonisti, con in testa Mark Scout (interpretato da un magistrale Adam Scott) che per combattere il dolore della perdita della moglie, Gemma, decide di sottoporsi al processo di scissione, “dando così vita” al suo alter ego Mark S. “imprigionato” nella vita lavorativa alla Lumon Industries. Una sola persona, ma che di fatto ha due vite totalmente separate, ognuna all’oscuro dell’altra, ognuna incompleta, ma a modo diverso, entrambe “vittime” di una illusione di normalità.

Ed è proprio intorno a tutta quest’ultima parte che gira Severance. Su quelle parole che poco fa abbiamo messo tra virgolette, ma che in realtà sono molto più reali di quanto di possa credere. Così come è tutto molto più profondo di quel che si possa sospettare. È tutto incentrato sui personaggi, tutto ruota intorno a loro, alla loro crescita e alla loro presa di coscienza. Perché se è vero che da un lato, in apparenza, sottoporsi al processo di scissione può portare qualche beneficio a colui che, come nella serie, chiameremo Esterno, dall’altra parte è anche inevitabile che si dia davvero vita ad un altro individuo creando l’Interno, che nonostante quel piccolo mondo totalmente asettico e privo di colore in cui si ritrova a vivere, sviluppa delle emozioni, dei legami, delle idee prendendo quindi coscienza della propria esistenza. Eppure, gli Esterni e gli Interni sono la stessa persona. Ma alla prima interessa della seconda? O viceversa? Che effetto può avere vedere una persona che sei tu, ma che al contempo non lo sei?
Così si sviluppano le due stagioni di Severance, riuscendo a rispondere a queste domande costruendo un costante e crescente clima di mistero e tensione attorno a Mark così come ai suoi colleghi al reparto di Macrodata Refinement o MDR: Irving, Dylan ed Helly, tutti e quattro così diversi nei loro Esterni eppure così vicini nei loro Interni, specialmente per quel che riguarda Mark ed Helly, come stiamo per vedere.
Proprio perché l’arrivo di Helly R. è l’innesco sia dell’intera serie sia dei dubbi di Mark S. Helly è come la scintilla della rivolta o il seme del dubbio. Cosa fanno gli impiegati alla Lumon? Un compito che non capiscono nemmeno loro ma che fanno solo perché quello è il loro, quella è letteralmente la loro intera esistenza. Helly rappresenta il risveglio di Mark, la sua lenta presa di coscienza nel diventare a tutti gli effetti una persona distinta dal suo Esterno, il voler scoprire, in una moderna lettura del mito di Platone, cosa c’è fuori dalla caverna, anche a costo a di andare contro sé stesso.
Per tutta la prima stagione e così anche nella seconda (al netto di qualche calo di ritmo ma che comunque serve ad esplorare i personaggi) Severance riuscirà sempre a catturarvi, a voler sapere davvero come i personaggi e le loro storie, verranno sviluppati nella loro duplice natura così lontana l’una dall’altra con un’attenzione ai dettagli maniacale e che vi stimolerà più di una volta a voler ragionare con la vostra a testa, a capire voi stessi dove andrà a parare una storia sempre più affascinante e intrigante. Una serie che scava molto dell’Io dell’individuo e nella sua voglia di libertà.
Non posso dire più senza entrare negli spoiler, che non voglio assolutamente fare perché non voglio rovinarvi la visione e l’esperienza di una delle migliori serie degli ultimi anni. Date una chance a Severance, fidatevi. Sono sicuro che dopo, vi unirete a me nella preghiera che la terza stagione, annunciata da Apple TV pochi giorni, non arrivi dopo i tre anni che hanno separato la seconda dalla prima. Ma molto, molto prima.